Cassazione: Separazione Personale dei Coniugi - Assegnazione della Casa Familiare - Successiva Costituzione del Diritto di Usufrutto

Sentenza n. 12045 del 17 maggio 2010 - Responsabilitą Patrimoniale - Azione Revocatoria Ordinaria.
Cassazione: Separazione Personale dei Coniugi - Assegnazione della Casa Familiare - Successiva Costituzione del Diritto di Usufrutto
Martedi 6 Luglio 2010

Ove in sede di separazione personale sia stato attribuito ad uno dei coniugi, tenendo conto dell'interesse dei figli, il diritto personale di godimento sulla casa familiare, la successiva costituzione per donazione, in favore dello stesso coniuge affidatario, del diritto di usufrutto vita natural durante sul medesimo immobile, compiuta dall'altro coniuge, costituisce atto avente funzione dispositiva e contenuto patrimoniale, soggetto ad azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ.

Testo completo:

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

1. La Banca di credito cooperativo Cassa rurale ed artigiana del Sannio convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, R.F, I.E., P.E. e E.E., per sentire dichiarare l'inefficacia della donazione effettuata da E.E., con atto per notar Capuano del 30 dicembre 1990, trascritto il 28 gennaio 1991, del diritto di usufrutto e della nuda proprietà della quota di sua proprietà dell'appartamento sito in Napoli, via Cappella Vecchia, n. 8, rispetteivamente in favore della R.F, sua moglie, e degli altri due convenuti, suoi figli.
Dedusse in proposito di essere cessionaria, con atto per notar Delli Veneri del 20 maggio 1989, delle attività e passività della Cassa rurale ed artigiana di Ceppaloni, posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto del Ministro del tesoro del 18 maggio 1989, e creditrice di E.E. per la somma di lire 46.311.296, di cui li.re 28.405.608 in virtù di decreto ingiuntivo del presidente del Tribunale di Benevento ed il residuo in virtù di cambiali scadute e protestate, oltre interessi e spese, e che l'atto di cessione richiamato arrecava grave pregiudizio ad essa istante, impedendole l'espropriazione del bene ed il soddisfacimento del suo credito.
I convenuti si costituirono (E.E. solo in sede di precisazione delle conclusioni), chiedendo il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 14987 del 3 dicembre 2001, il Tribunale adito dichiarò l'inefficacia, nei confronti dell'attrice, della donazione.

2. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza n. 2627 resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 31 agosto 2004, ha rigettato il gravame di R.F e di I.E. e P.E..
2.1 Esaminando il motivo con cui gli appellanti si dolevano della violazione del principio del contraddi ttorio, realizzata all' udienza del 12 ottobre 1993, alla quale i convenuti non parteciparono, in considerazione del diverso rinvio in prosieguo disposto per il 12 ottobre 1994, udienza durante la quale non fu trovato il fascicolo d'ufficio, la Corte l'ha respinto, osservando: che il contraddittorio è stato pienamente ricostituito tra le parti, con ordinanza collegiale del 5 aprile 1996, disponendosi, anche a seguito di un'istanza dei convenuti del 13 ottobre 1994, il rinvio dinanzi al giudice istruttore per l'udienza del 3 ottobre 1996; che a questa udienza i convenuti (tranne E.E., non ancora costituito) si sono limitati ad impugnare genericamente la documentazione prodotta da controparte, solo successivamente affiancando contestazione di identico contenuto a quelle mosse dal donante, nel frattempo costituito.
Nel merito, la Corte territoriale ha ritenuto sussistenti i presupposti dell'azione revocatoria, rilevando: che la irrevocabilità della donazione in favore dei figli non poteva farsi derivare dai pretesi inadempimenti del padre nel versamento dell'assegno di mantenimento e degli altri esborsi, ai quali egli era tenuto; che la datio in soutum, come mezzo anormale di pagamento, non può essere ricompresa nella categoria dell' adempimento di un debito scaduto ed è soggetta anch'essa all'azione revocatoria; che il decreto ingiuntivo invocato a sostegno dell'azione revocatoria, nonostante l'opposizione ancora in corso, dà conto della esistenza del credito della Cassa, nella nozione lata accolta dalla giurisprudenza in tema di azione revocatoria ordinaria.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello la R.F e i fratelli E. hanno proposto ricorso, con atto notificato 1'11 gennaio 2005, sulla base di sette motivi.
La Banca di Credito cooperativo ha resistito con controricorso. Nessuna attività difensiva ha svolto in questa sede E.E..

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano che la Corte di merito non abbia ravvisato l'intervenuta violazione del principio del contraddittorio nel corso del processo di primo grado per inosservanza della comunicazione dell' ordinanza emessa fuori udienza (art. 170 cod. proc. civ.).
L'irregolarità verificatasi avrebbe precluso lo svolgimento di ogni attività istruttoria da parte dei convenuti già costituitisi in giudizio, impedendo loro di impugnare adeguatamente i documenti prodotti in giudizio dall'attrice, tra i quali una semplice fotocopia, priva dell'indispensabile visto di conformità, del decreto ingiuntivo emesso dal presidente del Tribunale di Benevento, quale prova della posizione debitoria del convenuto E.E..

1.1. Il motivo è infondato.
E' esatto che, nel corso del giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Napoli, la causa, rinviata con ordinanza fuori udienza del 2 aprile 1993 al 12 ottobre 1994, fu invece chiamata all'udienza del 12 ottobre 2003 - nella quale comparve solo l'avvocato dell'attrice, che produsse documenti - e rinviata per la precisazione delle conclusioni al 10 marzo 2004.
Sennonché, all'udienza collegiale del 5 aprile 1996, il Tribunale, su istanza dell'avvocato dei convenuti, dispose la rimessione della causa in istruttoria al fine del normale e regolare svolgimento del processo e della ricostituzione del contraddittorio, cosi consentendo ai convenuti di esercitare tutte le facoltà difensive, ivi comprese l'indicazione dei mezzi di prova, la produzione di documenti e la contestazione dei documenti prodotti ex adverso; esaurita la fase istruttoria nel contraddittorio tra le parti, la causa tornò nuovamente in conclusioni (udienza alla quale si costitui E.E.) per essere peli rimessa al collegio.
E' evidente, pertanto, che, con la rimessione della causa in trattazione e con la reintegrazione delle facoltà dei convenuti di articolare mezzi di prova, di effettuare produzione documentali e di replicare alle deduzioni e alle produzioni della controparte, il Tribunale ha emanato un provvedimento che ha rimediato al vizio derivante dalla trattazione dell'udienza, senza la partecipazione di tutte le parti, in una data anteriore a quella alla quale il processo era stato rinviato, cosi consentendo al processo, rinnovato nella sua scansione e restitui to alla sua capacità funzionale, di proseguire verso la sua naturale meta nel pieno rispetto del principio del contraddittorio.

 

2. Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell'art. 2712 cod. civ.) ci si duole che la sentenza d'appello non abbia tenuto conto dell'impugnativa e del disconoscimento, ad opera dei ricorrenti, della conformità della riproduzione fotografica del decreto ingiuntivo posto dall' attrice a dimostrazione della propria ragione creditoria.

2.1. Il motivo è inammissibile perché, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, omette di indicare, adeguatamente e specificamente, in quale atto del giudizio di merito e in qual modo i convenuti procedettero al disconoscimento della conformità della copia del decreto ingiuntivo all'originale.

 

3. Il terzo motivo (mancanza dei requisiti soggettivi dell'azione) deduce che erroneamente la Corte di merito non ha considerato che la Cassa non poteva considerarsi creditrice del E.E., dal momento che l'ingiunzione era stata opposta e che il E.E. stesso aveva in precedenza proposto un separato giudizio per veder riconosciuto ed accertato un proprio credito per oltre lire 210.000.000, vantato nei confronti della Cassa.

3.1. Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.
Poiché anche il crredito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell' azione revocatoria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore, nel giudizio ex art. 2901 cod. civ. è sufficiente al creditore procedente l'allegazione di un decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del preteso debitore per dimostrare la titolarità di un credito meritevole di tutela, in quanto già esaminato e ritenuto provato in sede monitoria, sicché la pendenza del giudizio di opposizione ai sensi dell' art. 645 cod. proc. civ. avverso detto decreto non osta alla declaratoria di inefficacia dell'atto pregiudizievole alle ragioni del creditore (Cass., Sez. Un., 18 maggio 2004, n. 9440; Cass., Sez. I, 13 luglio 2005, n. 14709; Cass., Sez. II, 1° giugno 2007, n. 12849; Cass., Sez. III, 27 gennaio 2009, n. 1968).
Quanto, poi, alla doglianza secondo cui il giudice del gravame non avrebbe tenuto conto di un controcredito vantato dal E.E. nei confronti della Banca, si tratta di censura che non può trovare ingresso in questa sede, perché i ricorrenti, ancora una volta in violazione del principio di autosufficienza, non indicano in materia circostanziata quali risultanze processuali dimostrerebbero che detto elemento di fatto sia stato allegato e provato nel corso delle pregresse fasi di merito.

 

4. Con il quarto mezzo i ricorrenti lamentano che la Corte partenopea abbia omesso di rilevare la mancanza del presupposto oggettivo per l'azione revocatoria, giacché il bene di cui è causa sarebbe stato assegnato in usufrutto alla R.F sin dal 1978, in sede di separazione consensuale dei coniugi, e la donazione impugnata dalla Cassa aveva costitui to unicamente l'occasione per dare veste formale e solenne alla cessione di quel diritto, già precedentemente avvenuta con l'omologazione della separazione dei coniugi.
Con il quinto motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 2034 cod. civ.) i ricorrenti lamentano che la Corte d'appello abbia rigettato le loro deduzioni in ordine alla natura remuneratoria della donazione della nuda proprietà ai figli, in relazione al fatto che il E.E., che non aveva adempiuto l'obbligo di mantenimento, aveva inteso cosi compensare tali omissioni.
Il sesto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell' art. 2901 cod. civ., per non avere la Corte di merito considerato che la donazione costituiva adempimento di un debito scaduto del E.E. nei confronti dei donatari, come tale irrevocabile.

4.1. I tre motivi - i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono privi di fondamento.
La Corte d'appello, interpretando il verbale di separazione consensuale omologata, ha accertato che, con la concordata assegnazione alla moglie, affidataria dei figli, della casa coniugale, era stata costituito in suo favore un diritto personale di godimento.
Ora, posto che l'interpretazione di una convenzione, per ricavarne quale sia l'oggetto, costituisce un' attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (tra le tante, Cass., Sez. I, 22 febbraio 2007, n. 4178); l'allegazione dei ricorrenti, secondo cui già con tale assegnazione sarebbe stato concesso alla moglie, non soltanto l'uso esclusivamente personale dell'immobile al fine della soddisfazione dell'esigenza abitativa familiare, ma anche la possibilità di utilizzarlo in maniera diversa, mediante la costituzione di diritti in favore di terzi, è prospettata senza la deduzione di quali canoni ermeneutici sarebbero stati violati dal giudice di merito e senza la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità di cui sarebbe affetto il ragionamento svolto dal giudice di merito.
Inoltre, il motivo non riporta il testo integrale degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale omologata.

Tanto premesso, la sentenza impugnata resiste alle censure articolate con il motivo.
Invero, una volta che in sede di separazione personale sia stato attribuito ad uno dei coniugi, tenendo conto dell'interesse dei figli, il diritto personale di godimento sulla casa familiare, la successiva costituzione per donazione, in favore del medesimo coniuge affidatario, del diritto di usufrutto vita natural durante sul medesimo immobile, compiuta dall'altro coniuge, costituisce un atto avente funzione dispositiva e contenuto patrimoniale, soggetto all'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901 cod. civ.
Infatti, la costituzione dell'usufrutto non ha il connotato della doverosità proprio dell'adempimento (c.d. atto dovuto o atto giuridico in senso stretto) - che giustificherebbe l'esclusione della revocatoria, ai sensi del terzo comma dell'articolo citato - ma si fonda sulla libera determinazione del coniuge debitore, il quale, attraverso la concessione di siffatto diritto reale, per la durata della vita del beneficiario, su un bene di sua proprietà in precedenza gravato da un diritto personale di godimento in favore del medesimo cessionario, dà luogo alla modifica del suo patrimonio, con rischio di riduzione della garanzia generale spettante ai creditori.
Lo stesso dicasi in ordine al negozio con cui il E.E. donò ai figli I.E. e P.E. la nuda proprietà del medesimo immobile, che i ricorrenti vorrebbero vedere sottratto all' ambito oggettivo di operatività dell'azione revocatoria in ragione della (asserita) pregressa esposizione debitoria nei confronti dei medesimi donatari per il mancato versamento del contributo di mantenimento.
Non giova ai ricorrenti la prospettata qualificazione di tale atto come "datio in solutum" o come donazione remuneratoria.
Sotto il primo profilo, è da porre in rilievo la precisazione contenuta nella Relazione del Ministro guardasigilli al codice civile (n. 1182), nel senso che il recepimento legislativo del principio della non assoggettabilità a revoca dell' "adempimento in senso tecnico", non esclude "la possibilità di impugnare con la azione revocatoria - la dation in solutum - se sussistono tutte le condizioni richieste dalla legge".
E le ragioni di siffatta limitazione dell'ambito di operatività del disposto di cui al terzo comma dell'art. 2901 cod. civ. sono, del resto, di intuitiva evidenza. L'adempimento del debito scaduto, infatti, quando sia normale e cioè sia realizzato secondo i termini temporali e di prestazione d'oggetto prestabili ti, si presenta quale atto dovuto, cosicché lo stesso carattere obbligato assumono anche gli atti dispositivi del patrimonio del debitore legati da un rapporto di stretta ed indispensabile inerenza strumentale con quello di soddisfacimento del debito.
Quando invece l'estinzione del debito avviene attraverso una "datio in solutum", è innegabile l'intervento di una scelta volitiva, da parte del debitore in accordo con il creditore, intervento sufficiente ad escludere ogni carattere di "atto dovuto" dal meccanismo negoziale prescelto (cfr. Cass., Sez. I, 21 dicembre 1990, n. 12123).
Sotto l'altro profilo, è da ricordare che anche la donazione remuneratoria rientra tra gli atti di disposizione del patrimonio del debitore, soggetti a revoca ai sensi dell'art. 2901 c:od. civ. (Cass., Sez. I, 9 giugno 1965, n. 624)

 

5. Con il settimo motivo (mancanza dei requisiti soggettivi dell'azione revocatoria) si lamenta che la Corte territoriale non abbia preso in considerazione la buona fede dei donatari, confermata dal fatto che la trascrizione dell' atto era avvenuta solo a distanza di circa un mese dalla stipulazione, il che dimostrerebbe che la donazione non era preordinata a creare pregiudizio alla Cassa.

5.1. Il motivo è infondato, perché per l'azione revocatoria di atti a titolo gratuito non occorre che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore (Cass., Sez. III, 3 marzo 2009, n. 5072).

 

6. Il ricorso è rigettato.

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalla contro ricorrente, liquidate in complessivi euro 1.700, di cui euro 1.500 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 aprile 2010.

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