Cassazione: i lavoratori che si ammalano nei giorni di sciopero mantengono il diritto alla retribuzione.

Cassazione civile - Sez. lavoro, 31/­05­/2010, n. 13256.
Cassazione: i lavoratori che si ammalano nei giorni di sciopero mantengono il diritto alla retribuzione.

Lavoro - sciopero - malattia - diritto alla retribuzione

Sabato 18 Settembre 2010

In particolare la Suprema Corte ha precisato, anche in riferimento ad un  suo precedente orientamento che "non può parlarsi di unicità di sospensione del rapporto di lavoro sia per i lavoratori "sani" che per quelli "malati", e ciò perchè la non collegabilità tra i diversi rapporti dei predetti comporta che la sospensione per effetto della malattia del lavoratore non si aggiunge a quella concernente i rapporti dei lavoratori "sani", tanto da determinare un mutamento del titolo legittimante la sospensione stessa, bensì si concretizza in modo autonomo e distinto, come se l'impedimento a rendere la prestazione lavorativa per effetto della malattia fosse insorto in un giorno di normale espletamento dell'attività aziendale".

Svolgimento del processo
Con separati ricorsi in data 20 febbraio 2002 al giudice del lavoro di Larino, C.L., D.M.M., D.V.Z. e P.R. esponevano che tutti dipendenti della W. S.p.A., con sede in (....), nei giorni (....) (il C.L.), (....) (il D.M.) (....) (il D.V.Z.) e il (....) (il P.R.) si erano assentati dal lavoro per malattia, in concomitanza di scioperi indetti in quei giorni dalle Organizzazioni Sindacali.

Aggiungevano che il datore di lavoro, senza tenere in alcun conto il motivo effettivo della mancata prestazione lavorativa da parte loro, aveva operato le trattenute sulla retribuzione, considerandoli assenti per adesione agli anzidetti scioperi.
Tanto premesso chiedevano che la suindicata società fosse condannata a restituire loro le somme indebitamente trattenute (L. 126.537 per il C., L. 142.601 per il D.M., L. 391.543 per il D. V. e L. 139.858 per il P.), oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria fino al saldo ed alla rifusione delle spese del giudizio.
La W. S.p.A., ritualmente costituitasi nei distinti procedimenti attivati dai ricorrenti, chiedeva il rigetto delle domande, sostenendo che, nei giorni indicati dagli istanti, vi erano stati degli scioperi aziendali con totale astensione dei dipendenti dal lavoro; che, in occasione di tali scioperi, era stata registrata, anche per razione di picchettaggio posta in essere dagli organizzatori nei pressi degli accessi allo stabilimento, una totale paralisi dell'attività dell'azienda; che la tensione verificatasi aveva determinato anche l'intervento della polizia, allo scopo di scongiurare eventuali disordini; che, nella riscontrabile totale impossibilità di utilizzazione del personale dipendente, si era realizzato un caso tipico di sospensione del rapporto lavorativo per assoluta ed incolpevole impossibilità, per il datore di lavoro, di ricevere la prestazione; che, pertanto, ai ricorrenti non spettava la retribuzione, anche se assenti per malattia, atteso che, nel momento in cui si era verificato tale loro impedimento, il rapporto di lavoro era già sospeso per effetto dello sciopero nè la malattia dei predetti poteva dar luogo ad una nuova sospensione oppure modificare il titolo legittimante tale sospensione.
Il Tribunale di Larino, con sentenza del 24 settembre 2002, accoglieva le domande, ritenendo che in tali casi il datore di lavoro fosse ugualmente obbligato a corrispondere la prestazione ai lavoratori assenti per malattia.
Avverso tale decisione proponeva appello la C. s.r.l. (già W. S.p.A), cui resistevano i lavoratori chiedendone il rigetto.
Con sentenza del 20 -25 luglio 2005, l'adita Corte di Appello di Campobasso rigettava il gravame.
A sostegno della decisione osservava che i lavoratori, impossibilitati per la precarietà delle loro condizioni fisiche a svolgere attività lavorativa, qualora non abbiano manifestato la loro adesione allo sciopero, non debbano essere privati della retribuzione, in applicazione del disposto dell'art. 2110 c.c., in quanto, nella valutazione di evidenti ragioni di contenuto sociale, la peculiare natura dell'impedimento doveva portare a derogare l'impostazione normativa dell'art. 1463 c.c..
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la GE. s.r.l. già C. s.r.l., con un unico motivo.
Resistono i lavoratori con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
Con l'unico mezzo d'impugnazione la società ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1174, 1205, 1256, 1346, 1463 e 2110 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)sostiene l'erroneità della pronuncia impugnata, richiamando la giurisprudenza, per lungo tempo, maggioritaria di questa Corte (tra le tante, Cass. 7 febbraio 1991 n. 1256), alla cui stregua, nell'ipotesi in cui la prestazione di lavoro, da parte della generalità dei dipendenti di un'impresa, sia mancata per causa non imputabile al datore di lavoro, il diritto alla retribuzione viene meno, ai sensi dell'art. 1463 c.c.) anche per quei lavoratori il cui rapporto sia già sospeso per malattia ai sensi dell'art. 2110 c.c..
Ciò in quanto il rischio addossato al datore di lavoro da tale norma - che mira a realizzare la parità di trattamento fra il lavoratore sano e quello infermo - non può essere estesa a situazioni di forza maggiore, diverse dagli eventi eccezionalmente contemplati dalla norma stessa, le quali, paralizzando, con l'inattività dell'impresa, i rapporti di lavoro relativi alla generalità dei dipendenti, non possono non investire anche i rapporti sospesi per malattia, tanto più che, diversamente opinando, si riserverebbe ai lavoratori ammalati un trattamento addirittura privilegiato rispetto a quello dei lavoratori in attività di servizio.

Il motivo è privo di fondamento.

Come sottolinea la società ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte ha, in effetti, ripetutamente disatteso la tesi sostenuta nella impugnata decisione, affermando che, nell'ipotesi in cui la prestazione di lavoro, da parte della generalità dei dipendenti di un'impresa, sia mancata per causa non imputabile al datore di lavoro, il diritto alla retribuzione viene meno, ai sensi dell'art. 1463 c.c., anche per quei lavoratori il cui rapporto sia già sospeso per malattia, ai sensi dell'art. 2110 c.c. (tra le tante, Cass. 23 aprile 1982 n. 2522; 9 maggio 1983, n. 3158; 13 giugno 1984, n. 3529; 7 febbraio 1991, n. 1256).
Tale principio, che non è stato condiviso dalla sentenza impugnata, ma su cui si fonda la difesa della ricorrente società, si basa essenzialmente su due ordini di ragioni:
da un lato, il rischio addossato al lavoratore dall'art. 2110 c.c. cit. non potrebbe essere esteso a situazioni di forza maggiore, diverse dagli eventi eccezionalmente contemplati dalla norma stessa, le quali, paralizzando, con l'inattività dell'impresa, i rapporti di lavoro relativi alla generalità dei dipendenti, non possono non investire anche i rapporti sospesi per malattia; dall'altro, la disposizione in oggetto mirerebbe a realizzare la parità di trattamento tra il prestatore sano e quello infermo, parità che sarebbe violata da una sua diversa interpretazione, la quale finirebbe per riservare al lavoratore ammalato un trattamento addirittura privilegiato rispetto a quello del dipendente in attività di servizio.
Tali argomentazioni, sono state, tuttavia, analiticamente disattese, dal più recente orientamento, instaurato da Cass. 9 aprile 1998 n. 3691, con motivazione ampiamente convincente, alla cui stregua, nell'ipotesi in cui il datore di lavoro si trovi nell'impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa per causa a lui non imputabile (nella specie, per l'adesione ad uno sciopero da parte della stragrande maggioranza del personale dipendente e la conseguente inutilizzabilità del personale residuo non scioperante), il diritto alla retribuzione non viene meno per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro sia già sospeso per malattia ai sensi dell'art. 2110 c.c. atteso che la speciale disciplina dettata per ragioni di carattere sociale dall'art. 2110 c.c. investe in via esclusiva il rapporto tra datore di lavoro e singolo lavoratore, e su di essa non possono pertanto incidere le ragioni che, nel medesimo periodo di sospensione del rapporto, rendano impossibile la prestazione di altri dipendenti in servizio, senza che, peraltro, possa in tal modo configurarsi una violazione del principio di parità di trattamento, posto che detto principio non può essere validamente invocato al fine di eliminare un regime differenziale voluto a tutela di particolari condizioni già ritenute meritevoli di un trattamento privilegiato.
Da tutto ciò consegue che gli attuali resistenti, per la concomitante loro assenza dal lavoro in coincidenza con l'astensione, per sciopero, degli altri dipendenti della società ricorrente, stante la già evidenziata non collegabilità ai fini che qui rilevano - del rapporto lavorativo dei primi con quello dei secondi, non potevano come correttamente ha osservato il Giudice di appello essere privati della retribuzione, nel momento in cui, impossibilitati a rendere la prestazione per motivi di salute, non avevano comunque manifestato l'intenzione di aderire allo sciopero, dovendo, in applicazione, appunto, del disposto dell'art. 2110 c.c., essere loro attribuita la retribuzione, proprio perchè, nella valutazione di evidenti ragioni di contenuto sociale, la peculiare natura dell'impedimento dei lavoratori deve portare a derogare l'impostazione normativa dell'art. 1463 c.c.
In questa prospettiva come ancora correttamente osservato dal Giudice a qua, nessuna valenza, in senso contrario, può assumere la coincidenza tra l'insorgenza della malattia dei lavoratori e le giornate delle astensioni dal lavoro degli altri dipendenti per sciopero, atteso che non può parlarsi, come pretenderebbe la società ricorrente, di unicità di sospensione del rapporto di lavoro sia per i lavoratori "sani" che per quelli "malati", e ciò perchè la non collegabilità tra i diversi rapporti dei predetti comporta che la sospensione per effetto della malattia del lavoratore non si aggiunge a quella concernente i rapporti dei lavoratori "sani", tanto da determinare un mutamento del titolo legittimante la sospensione stessa, bensì si concretizza in modo autonomo e distinto, come se l'impedimento a rendere la prestazione lavorativa per effetto della malattia fosse insorto in un giorno di normale espletamento dell'attività aziendale.

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.


P.Q.M.


LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 10,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2010.

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